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Cenni biografici sul Dr. Lazër Radi

Gazeta

Lazër Radi
Lazër Radi 1942

Cenni biografici sul Dr. Lazër Radi

Lazër Radi, nasce il 29 gennaio del 1916 a Prizren (Kossovë), città conosciuta per la famosa “Lega degli Albanesi” del 1878, in una famiglia di patrioti.
La famiglia di Lazër Radi era composta di sei persone e lui era l’ultimo di quattro figli quindi, nonostante la sua tenera età, fu costretto a subire e a misurarsi con le ristrettezze economiche del periodo della Prima Guerra Mondiale.
Infatti, la Prima Guerra Mondiale aveva creato grossi problemi economici per tutti i popoli coinvolti nel conflitto, e a questa difficile situazione non era sfuggita neanche la famiglia Radi.
Quella crisi economica, comune a tutti dopo la grande guerra, era ancora più grave per la famiglia di Lazër Radi perché suo padre era diventato invalido a seguito di una ferita riportata ad un braccio, durante le lotte che il popolo albanese aveva sostenuto contro gli invasori serbi. In quel periodo, in definitiva, lavoravano solo la mamma e lui, anche se era solo un bambino; tutti gli altri della famiglia non potavano dare alcun aiuto. Infatti, la sorella era piccola e gli altri due fratelli più grandi lavoravano come aprendisti (shegertë) solo per sopravivere.
Successivamente, nei confronti dei Radi, vengono praticate, da parte degli invasori serbo-montenegrini, violenze tali che costringono la sua famiglia a lasciare Kossova nel 1929, e intraprendere la triste via dell’esilio in Albania. (Di Marzio G. Mian scrive: “Nella cultura balcanica esilio e destino sono spesso sinonimi, è raro nascere e morire nello stesso luogo”).

Familja Radi - Prizren1922 - Anton-Bartolomeo-Gjuliana-Lazer-File
Familja Radi – Prizren1922 – Anton-Bartolomeo-Gjuliana-Lazer-File

Inizialmente a Tirana, Lazër Radi frequenta la scuola media e dopo, nel 1932, con le sue forze, senza alcun aiuto riesce ad iscriversi presso il Ginnasio di Scutari e trova alloggio presso il Convitto “Malet Tona” (Le Nostre Montagne). In questo Istituto partecipa ad una vita intellettuale piuttosto intensa e, con i suoi compagni di scuola, fonda ed organizza la società culturale albanese “Besa Shqiptare” (Parola d’onore Albanese).
“Besa Shqiptare” era un’importante organizzazione culturale, tant’è che gli studenti, oltre che a creare ad una troupe teatrale con il proprio gruppo di cantanti, per agevolare la divulgazione dei loro lavori, avevano progettato anche la creazione di una rivista chiamata “Shkëndija” (Scintilla). Questa rivista non vide mai la luce in quanto per le sue “idee nuove” la gendarmeria di Scutari ne vietò l’uscita sin dal primo numero, sequestrando il materiale raccolto quando era già stato stipulato il contratto con la tipografia.
In Albania, in quel periodo, si erano creati i primi gruppi d’ispirazione comunista, e Lazër Radi conobbe queste idee nuove perché, per la sua conoscenza del serbo-croato, traduceva la documentazione politica proveniente dalla Russia e dalla Serbia ed aveva anche i primi contatti con persone provenienti da quelle zone.
Fu costretto ad abbandonare queste idee nuove, nelle quali credeva insieme a tanti giovani, quando i serbi ed i montenegrini incominciarono a inspirare violenze nei confronti di cittadini eminenti quali il Prefetto, i pretti cattolici, il Capo della Polizia, e personaggi abbienti ed influenti.
Egli, infatti, in questo periodo, incominciò a riflettere e a ricredersi e preferì quindi mettersi in disparte, per non essere costretto a tradire i fratelli albanesi per ordine dei serbi. Quel popolo stesso che aveva invaso Kossova e l’aveva obbligato all’esilio insieme a tutta la sua famiglia…

Migjeni dhe Lazër Radi - Pukë 1936
Migjeni dhe Lazër Radi – Pukë 1936

Nel 1936, lui trascorre l’estate a Pukë con il suo idolo Millosh Gjergj Nikolla – MIGJENI, uno dei più conosciuti giovani poeti albanesi di quel tempo. Questa frequentazione lascia tracce profonde nella vita di Radi e segna la sua futura attività pubblicistica. Infatti, sono proprio di questo periodo i suoi primi articoli sulla stampa quotidiana.
Nel estate del 1938, Lazër Radi termina i suoi studi al Ginnasio Statale e si attiva, senza peraltro riuscirci, nei confronti di Re Zog, per ottenere una borsa di studio all’università, ma non e riuscita.
L’intervento di un prete Dom Anton Zogaj, che favorì l’incontro, in una villa di Durazzo, di Radi con Francesco Jacomoni, Rappresentante italiano in Albania, e principalmente l’aiuto della moglie del Console, Dona Maia, che fece superare le resistenze dovute al fatto che Radi aveva partecipato dei gruppi comunisti, furono importanti per l’accesso, come borsista, di Lazër Radi all’Università “La Sapienza” di Roma.
Con molti sacrifici, sfruttando anche la sua attività di pubblicista che gli assicurava una piccola retribuzione, egli nel 1942 termina gli studi presso quella notevole Università di Roma con il massimo dei voti (110/110), conseguendo la laurea Dottore in Giurisprudenza, con la tema del Cannone di Lek Dukagjini (Kanuni i Lek Dukagjinit).
In questo periodo pubblica molti articoli sui quotidiani albanesi, in loro traspare la cultura italiana e la speranza di radicali cambiamenti anche nella sua Kossova. Non bisogna dimenticare le differenze che esistevano fra l’Italia e quel Paese balcanico, reduce da cinque secoli di dominazione turca.
Durante il periodo universitario in Italia, Radi ebbe tanti amici sia fra gli albanesi sia fra gli italiani.
Ci piace ricordare Gino Lanzillotta (diventato avvocato), Musine Kokalari (la prima scrittrice albanese dall’esistenza travagliata, alla quale non furono risparmiati il carcere ed i campi di concentramento e che, quando morì, fu accompagnata al cimitero su un camion pieno di ghiaia), Pashko Gjeçi (l’autore che ha fatto parlare in albanese il grande Dante e al quale fu riservato lo stesso duro trattamento carcerario), Valeria Mosso (diventata avvocata), Lo Russo Atoma, Indro Montanelli, e tanti altri.
Durante la sua vita da studente soggiornò a Roma in piazza del Bersagliere, vicino a Porta Pia, ciò gli consentì di frequentare la buona società romana. Nel 1941, da una relazione con una ragazza italiana di nome Lidia B., nacque un bimbo, Alfredo, che lo portò in Albania affinché non gravasse sulle spalle di quella ragazza quando lui fosse ritornato nel suo Paese alla fine dei studi. (Nell’estate del 1943, Lazër Radi convolò a nozze con la signora Viktoria V., che si occupò oltre che alla sua figlia anche per il piccolo Alfredo, fino al 1952, anno nel quale fu arrestata a Tirana e condannata a dieci anni di carcere, a seguito di una protesta portata avanti dalle donne che avevano i mariti in carcere per motivi politici.
Nel 1944 dal matrimonio con la signora Vittoria nacque una bimba di nome Veronica che morì in tenerissima età, mentre il padre era in carcere).
Durante il suo soggiorno in Italia, esattamente il 7 aprile del 1939, fu espulso temporaneamente dall’Italia a seguito dell’invasione dell’Albania. Nel suo libro “Il Primo Processo Speciale in Albania” egli racconta che: “Un poliziotto mi ha portato il foglio di via e cinquecento lire per le eventuali spese. Sono partito. Il giorno dell’invasione (7 aprile) mi ha trovato nel mezzo del Mediterraneo. Nessuno può capire il mio turbamento. Due o tre amici occasionali conosciuti sulla motonave “Augustus” cercavano di darmi coraggio e mi hanno consolato per tutto il viaggio.
Come si è già detto prima, nel 1942 termina gli studi e si laurea con 110/110, diventando dottore in Giurisprudenza. Nonostante l’offerta di un posto come assistente universitario, propostagli dal suo maestro, Prof. Vito Cesarini Sforza, Lazër Radi preferì rientrare in Albania, convinto che tale decisione fosse utile per il suo Paese!!
Dopo il periodo di praticantato, Radi consegue, nell’estate del 1944, l’abilitazione all’esercizio della professione forense che esercita fino al novembre del 1944, quando esattamente il giorno 23 di quel mese, i comunisti albanesi lo imprigionano. Successivamente, il 13 aprile del 1945, lo condannano a trenta anni di carcere per le sue idee anticomuniste. Infatti, l’aver studiato in Italia, per di più con una borsa di studio dello Stato Italiano, e la sua attività di pubblicista contribuì a determinare nel governo comunista albanese la presunzione dell’anticomunismo sovversivo del Radi.
Dei trenta anni inflittigli, Radi, in carcere, ne ha scontati soltanto dieci, infatti, nel 1954 fu liberato dal campo di Kafaraj, e internato immediatamente nei vari campi di concentramento, fino al 1974.
I campi di concentramento nei quali Radi soggiornò furono nell’ordine Savër (Lushnje), 1954 dopo Shtyllas e Radostinë (Fier) 1955, Kuç di Kurvelesh (Vlorë) 1955, dove nel 1957 nacque Jozef e poi Gradishtë, Çermë (Lushnje) 1959, dove nacque Adriana ed infine Savër (Lushnje) dove nel 1963 nacque Luciano.
Una volta rilasciato dai campi di concentramento nel 1974, Radi, era vietato di ritornare a Tirana, città nella quale rientra solo il 20 febbraio del 1991.
Il calvario di Lazër Radi in definitiva, è durato 46 anni e sei mesi, è iniziato quando aveva 28 anni ed è terminato quando n’aveva 75. (Come si dice nelle liturgie: “L’essere cristiani ci pone nella condizione di essere perseguitati, ma sappiamo che ogni sofferenza sarà ricompensata in Cristo”).
E’ interessante leggere ciò che afferma in un’intervista rilasciata il 2 Maggio 1992 al giornale “Zëri i Rinisë” (La voce della gioventù): “Nel pieno della gioventù e della capacità vitale, fui associato al carcere, fu imprigionata anche mia moglie e durante tale periodo morì nostra figlia. Scarcerato, iniziò il calvario senza fine in innumerevoli campi d’internamento. Nonostante la mia laurea in giurisprudenza ed il mio titolo d’avvocato, ho fatto tanti lavori per sopravvivere: l’agricoltore, il falegname, il piegaferro, il meccanico, il disegnatore, etc. etc. Non posso descrivere in due parole cosa furono per me mezzo secolo di dittatura. Ho avuto la stessa sorte di tanti altri intellettuali e di tutta la cultura albanese durante il regime comunista. Adesso non desidero parlare di quel periodo, in modo che anche il mio silenzio possa dare la dimensione di quanto grande sia stata questa distanza fra questo periodo e quello trascorso. Una volta libero, anche se ogni mia parola avrebbe dovuto essere un atto d’accusa, ho preferito invece elaborare i miei ricordi, scrivere due o tre libri di poesie, studiare e fare traduzione in varie lingue. Sicuramente, non è molto ma è già qualcosa!”
Dopo gli anni novanta, nonostante i suoi 75 anni, Lazër Radi, torna a Tirana, con uno spirito ed una forza rinnovata. Per tre anni si è dedicato ad uno studio di ricerca presso la Biblioteca Nazionale e gli Archivi di Stato, selezionando del materiale che gli sarebbe servito per il suo lavoro futuro. Infatti, Radi scrive più di quindici opere, una decina di quelle pubblicate, altre ancora no, ed ha collaborato con molti quotidiani.
Dei dieci libri pubblicati, tre sono di poesie: “Muret e Muzgut” (I muri del crepuscolo (del 1993), “Shpresa vdes e fundit” (La speranza è l’ultima a morire del 1996), “Anëzave të Sharrit” (Le valli del Sharr del 1997). Gli altri sette libri trattano vari argomenti: “Rrëfim për Dinejt e Dibrës” (Racconto dei Dinejt di Dibra, note biografiche del 1994), “Misteret e një ministri” (I Misteri di un Ministro, note biografiche del 1994), “Njeriu i rrugës së gjatë” (Uomo della lunga strada, note biografiche del 1996), “Gjyqi Special në Shqipëri” (Il Processo Speciale in Albania, storia di un processo agli intellettuali albanesi, fra il quale Radi nel 1945).
Su questo processo Radi scrisse sul quotidiano “Rilindja Demokratike” (Rinascimento democratico) il 16 settembre del 1992 “Il Processo Speciale in Albania era paragonabile ad una “Scuola” del crimine di stato organizzato. In questo processo ero coimputato con Jakov Milajn, Vasfi Visokën, Kol Tromarën, Ibrahim Biçakçiun, Gjergj Bubanin, Mihal Zallarin, Fiqiri Llagamin, Mihal Sherkon, Xhevat Korçën, e tanti altri esponenti della Cultura albanese. Il Tribunale speciale, per la sua vergogna, condannò tutti come “Traditori e criminali di guerra”. (Quanto riportato è stato tratto dagli archivi e dai giornali del tempo, del 1997), “Apollogjia e tretë e Sokratit në Tiranë” (La terza apologia di Socrate a Tirana, novella del 1997), “Shqipëria në vitet tridhjetë” (Albania negli anni trenta, ricordi nel 1997), “Një verë me Migjenin” (Un estate con Migjeni, ricordi del 1998). Gli altri cinque libri sono le sue traduzioni.
La conoscenza di varie lingue straniere e del greco antico, ha consentito a Radi di tradurre in albanese le opere di vari autori. Nel 1992, tradusse per il “Teatro Nazionale” di Tirana “Chi ruba un piede è fortunato in amore” di Dario Fo, nel 1993 tradusse “Stalin, Mozarte e Marija Judina”, dell’autore montenegrino Jevrem Berkoviq, dall’autore montenegrino Mark Milan pubblicò nel 1995 “La vita e le abitudini degli Albanesi”, nel 1996, pubblicò dal serbo-croato “Epopea dell’uomo” di Mirash e Martin Ivanaj, nel 1997 tradusse dal greco antico e dall’italiano cinque opere del Opera di Platone, sempre nel 1997, pubblicò “Città e Chimere” dell’autore Jovan Duciq ed infine dall’italiano ha il manoscritto: “L’enciclopedia del mondo”.
Lazër Radi è morto il 23 settembre 1998. Il suo corpo riposa in pace nel cimitero di Tirana e sulla sua tomba, non compare alcun’iscrizione per rispettare la sua volontà espressa in una poesia, scritta in precedenza:

“Sulla tomba niente,
solo il nome scritto male,
con la mano dell’ultimo nipote,
lasciatemi lì nelle braccia della morte
vivere quell’amore che mi avete fatto mancare.
Lasciatemi,
e non stuzzicate la mia malinconia…”

La televisione albanese effettuando un servizio sulla morte di Radi nel telegiornale del 23 settembre 1998, così si esprimeva:
“Si è spento uno degli ultimi letterati della pleiade degli anni trenta il Dottor Lazër Radi. Poeta, traduttore e pubblicista conosciuto, riscoperto clamorosamente negli anni novanta….
Ha pubblicato durante gli anni novanta dei libri che hanno stupito il mondo letterario d’oggi per la loro attualità, e per la sua energia.
Chi non ha conosciuto l’opera dell’amico di Migjeni, per lo meno deve ricordare il suo aspetto d’intellettuale degli anni trenta che, come un’ombra vivente e piena d’energia, attraversa la strada “Dëshmorët e Kombit” (I caduti della Patria)…”
Ogni poesia che leggete ha la sua storia; se voi osservate con attenzione per ogni poesia è indicato l’anno nel qual è stata scritta. Bisogna ricordare che in quel periodo non era consentito neanche scrivere una lettera, immaginarsi una poesia. Radi, durante gli anni dell’internamento scriveva di notte e, insieme alla moglie Victoria, nascondeva in un contenitore di plastica sotto terra i suoi lavori. Infatti, gli intellettuali degli anni quaranta (quelli ancora vivi) erano sotto il controllo della polizia segreta del regime.
Lo scrittore Gëzim Hajdari ha scritto per Lazër Radi a Kùmà/ Critica nel “Breve panorama della poesia albanese dagli anni Trenta ad oggi” cosi: “…Le scintille della vera poesia restavano sepolte tra le siepi dei giardini, come nel caso di Lazër Radi, laureatosi nel 1942 in giurisprudenza all’Università “La Sapienza” di Roma trascorse quarantasei anni tra i carceri e i campi di concentramento; fu messo alla berlina dal regime più di una volta. Ora mi auguro, che si sia presa coscienza del crimine commesso dai servi della dittatura ai danni di quest’uomo, patrimonio nazionale e non solo. Egli è stato uno dei grandi intellettuali albanesi: poeta delicato e struggente, narratore, saggista, conoscitore di molte lingue, traduttore in albanese dell’opera di Platone e di scrittori serbocroati…”
Radi in un’intervista del 26 Ottobre 1992 al quotidiano del Kossova, “Rilindja” (Rinascita) dice: “Scrivere poesie, battere strade diverse quando ti trovavi sotto il terrore del regime dittatoriale comunista, in carcere, quando eri perennemente sotto osservazione e sotto la minaccia della morte, – era una pazzia. Ci sembrava che tutte le persone erano cambiate in Argo. Sia gli oppressi sia gli oppressori avevano cento occhi ed orecchie. Solo pensare queste cose era terribile, scrivere era una pazzia. Dal terrore e dalla pazzia, sono nati questi scritti che per la prima volta vengono presentati ai lettori…
Un’intera vita stretta in una morsa! Nei momenti profondi della disperazione – ma anche della fiducia e della speranza – ho scritto dei libri modesti, i quali sono i riassunti di un’epoca e di un uomo calpestato da quest’epoca…
Ogni poesia ha la sua storia, è un suo dolore, è una sua speranza, nell’attesa del giorno della libertà…
Mi sento molto emozionato davanti al lettore come se fossi un ragazzo che scrive per la prima volta…”
Egli rientrò nella sua amata Italia nel maggio del 1991 dopo quarantanove anni e riuscì anche ad incontrare alcuni vecchi amici, ancora vivi, come Gino Lanzillotta e Valeria Mosso. In una chiesa di Genziano dove andò a confessarsi (non entrava in una Chiesa da quasi trenta anni – infatti le Chiese in Albania furono chiuse nel 1967 ed ancora non erano aperte), il Prete, che aveva ascoltato la sua storia e conosciuto le sue sofferenze, patite per aver studiato in Italia e per le sue idee filo-italiane, gli affermò che era sufficiente che recitasse un solo “Padre nostro…” e una “Ave Maria…” per fare ammenda dei suoi peccati…
In poche parole questa è stata la lunga vita di Dr. Lazër Radi.
(Questo racconto della vita di Dr. Lazer Radi, si è letto in quinto anniversario della sua morte, a Napoli nel agosto del 2003)

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Jozef Radi

Redaktor i Radi & Radi

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